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Marco Rincione – Credo

(1 recensione del cliente)

Il prezzo originale era: €17.00.Il prezzo attuale è: €16.15.

Mentre il mondo intero si prepara a un evento ignoto di cui nessuno conosce gli effetti, le storie parallele di David, Ingrid e Oscar si intrecciano e si incastrano. Tutti e tre, guidati da un consulente telefonico anonimo, si trovano costretti a rifare i conti con le paure del presente, i segreti e le colpe del passato. E le speranze di un futuro sospeso su una imminente catastrofe planetaria.

Esaurito

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Descrizione

Marco Rincione (1990) è autore e sceneggiatore nonché editor di fumetti. Tra le sue opere ricordiamo Paperi (Shockdom, 2016), Vite di carta (Shockdom, 2017) e Groucho: La fine di un giorno qualunque (Sergio Bonelli, 2017). Nonostante l’amore per le vignette e i balloon, spera di scrivere molti altri romanzi.

1 recensione per Marco Rincione – Credo

  1. Sabino De Bari (proprietario verificato)

    Ho acquistato questo libro sulla scia della stima che nutro per il suo autore, del quale finora ho letto le sorprendenti opere di narrativa grafica da lui sceneggiate.
    Ero curioso di scoprire come si sarebbe cimentato in un romanzo e la mia fiducia è stata largamente ricompensata.
    La penna di Marco Rincione è disinvolta, sincera ed evocativa.
    I protagonisti della storia sono dei personaggi difformi (e in qualche modo tragicamente deformi nell’animo) che si misurano con un mondo al quale vorrebbero invece uniformarsi.
    David è un bambino con un occhio storto; il suo viso guasto lo rende vittima dello scherno dei suoi coetanei, ma anche – in forma più sottile – di certi adulti. Nutre la sua personale ossessione di guarigione con fantasie chirurgiche nelle quali farà da sé l’intervento che riparerà il suo volto.
    Cerca di attirare la tenerezza e l’attenzione di una madre che sembra sorda ai suoi richiami.
    Ingrid è una ragazza impregnata di fragilità: fragile è il suo corpo, la sua consapevolezza, il suo rapporto con gli altri, con una madre ossessiva alla quale cerca di sottrarsi con la sua evanescenza. L’unica cosa che sembra ancorarla al suolo è il tenace legame con il passato, segnato da un dramma che sarà svelato nel finale e dalla figura lontana ma ostinatamente attuale di un ragazzo che è sedimentato nella sua coscienza come una malattia.
    Oscar, infine, è un ragazzo avvolto dal silenzio.
    Il silenzio verso il suo compagno, del quale ha scoperto il tradimento, ma con cui non riesce a parlare, sopraffatto da discorsi che gli muoiono in gola non appena affiorano; silenzio verso sua madre, prossima alla morte in un letto di ospedale, che visita a fatica e con la quale men che meno riesce a parlare con franchezza.
    I mondi dei tre protagonisti sono quasi esclusivamente chiusi al loro interno, tenuti in piedi da conversazioni immaginarie, ossessioni e paure radicate molto a fondo.
    Le loro vite sono però raggiunte da una voce al telefono – la stessa per tutti – che rivela loro la meschinità delle esistenze che li circondano, che sembra conoscere a memoria il copione del mondo, che si muove inesorabilmente nella direzione anticipata dalla voce stessa.
    Nel cielo, allo stesso tempo, c’è un lamento costante che avvolge il pianeta intero, quello che viene chiamato la voce di DIO.
    E’ un suono lugubre e inquietante che dura da dieci anni – la sua comparsa è coincisa con momenti topici della vita dei tre protagonisti – e ricopre costantemente ogni città del mondo, ogni casa, ogni pensiero.
    Questa scomparsa del silenzio, questo lamento totalizzante, sul quale si spendono le più disparate e bizzarre teorie scientifiche e spirituali, è – nell’insieme della storia – un elemento capace di creare un disagio costante, un senso di disperazione e sfiancamento, di far maturare un desiderio autentico di rottura che sostiene il ritmo della lettura, facendoti desiderare strenuamente di vedere come e quando scomparirà.
    Mi è sembrato di ritrovare quel senso di spaesamento del quale erano intrise le pagine di Tiziano Sclavi e ho apprezzato tantissimo sia l’inventiva dell’autore (questo Lamento di Dio è un’idea geniale, di quelle che nella narrativa possono diventare archetipi) che la robustezza della sua scrittura.
    Per robustezza intendo calare a fondo le radici dei personaggi, creare attorno a loro un contesto solido e riconoscibile, scrivere dialoghi perfettamente credibili.
    E lasciare che – nella finitezza implacabile che sembra schiacciare il loro mondo – si faccia strada un filo di speranza, un riscatto che non sarà l’epilogo rivoluzionario di un romanzo di formazione, ma il primo passo di personaggi che alla fine trovano la forza di Guardare il mondo attorno a loro, di capire che il male non è l’unica cifra della loro anima, ma è una sfumatura che attiene ogni essere umano e in quanto tale può essere in tutto e per tutto.
    E lo fanno con quello di cui dispongono.
    Con una pinza che forse David non calerà nel suo occhio da ‘aggiustare’; con una lettera nella quale Ingrid affronterà la vigliaccheria di sua madre che sfugge la realtà; con un monologo nel quale Oscar finalmente parlerà alla sua, di madre, quasi spenta nell’anticamera della morte.
    Quella morte che sottende ogni pagina, la cui penetrazione arrogante dell’uomo è spiegata nel titolo, il cui rifiuto è la radice profonda della grettezza e della presunzione che creano culti e teorie.
    E i finali aperti di questo romanzo non potevano chiudere – o socchiudere – diversamente questa storia.
    Perché la voce di DIO, l’imminenza del nulla, non può che essere rappresentato, come in copertina, da una serie di porte che non sapremo mai dove portano, potendone osservare solo l’ingresso.

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